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IL CORPO DA SCRIVERE
Dal tatuaggio al piercing: uso espressivo delle modificazioni del corpo

di Marco Menicocci

La sindrome della Torre di Babele

Il mondo nel quale viviamo è quello dell’assoluta significanza. Non c’è angolo o aspetto della nostra esistenza quotidiana che non venga raggiunto da un vero e proprio bombardamento di messaggi. L’accumulo ossessivo e ripetuto di questi messaggi li rende, alla fine, irrilevanti: la dispersione dei significati giunge sino all’insignificanza. La creazione continua di miti collettivi, di ricordi e avvenimenti precostituiti da parte delle agenzie industriali di comunicazione costruisce una continua serie di modelli che però sono sempre più lontani dal vissuto quotidiano dei singoli. Di fronte a modelli forti e pregnanti, ma irraggiungibili per definizione, imposti dall’universo tecnico della comunicazione, l’individuo rimane solo ed esperisce il senso della sua impotenza. Non conta nulla, non può nulla, non ha nulla da dire che possa giungere sino ai canali della comunicazione industriale. Spossessato della propria storia, del proprio vissuto, senza alcuna possibilità di lasciare una sua traccia nel fluire dei messaggi che costituiscono il reale, l’individuo è respinto nel vuoto.

Questo vuoto si realizza, paradossalmente, proprio nel momento in cui, mai come oggi, le possibilità espressive, sia sul piano tecnico che su quello giuridico raggiungono il loro massimo sviluppo. Non ci sono limiti teorici alla possibilità di espressione. In pratica però l’omologazione rende assai difficile stonare nel coro.

Occorre, però, intenderci. L’omologazione non impedisce affatto la trasgressione o l’adozione di stili e moduli espressivi del tutto personali, al contrario. La trasgressione è quasi la regola. Le principali agenzie educative, quello che forniscono i modelli di pensiero ed espressivi, non sono affatto, oggi, la scuola o la chiesa, con i loro modelli arcaici e limitati: troppo rigide e chiuse nella loro uniformità per essere adatte ad esprimere l’accelerazione dei vissuti nella modernità. I modelli espressivi più diffusi ed usati sono piuttosto derivati da quelli della pubblicità, della promozione delle merci, della comunicazione di massa. Oggi la trasgressione non è negata, al contrario è deliberatamente cercata ed affermata. La trasgressione diviene un valore e l’espressione, perfino strillata, della propria personalità quasi un dovere.


Questa splendida immagine è tratta dall’archivio del Museo Cesare Lombroso, che raccoglie l’imponente materiale raccolto dal celebre criminologo italiano. Il gruppo di studiosi positivisti che si radunava attorno a Lombroso aveva una vera e propria ossessione per i tatuaggi. Nell’archivio sono presenti centinaia di immagini di uomini tatuati. Secondo Lombroso e la sua scuola il sottoporsi a simili "operazioni chirurgiche" era peculiare delle classi sociali più infime (tra cui: marinai, soldati, operai, pastori, contadini), e in particolare dei criminali. Immagini come questa miravano a documentare speciali caratteri anatomico-legali. Il senso era quello di dimostrare mediante prove visive "oggettive" il carattere di anormalità, e dunque di pericolosità, delle classi di soggetti rappresentate dall’uomo raffigurato. L’oggettività della dimostrazione era ottenuta spingendo la figura contro una squallida parete, denudandola lasciando cadere a terra i poveri indumenti, mettendola in posa con le braccia aperte e inchiodandola, infine, con una fotografia. Quasi un’esecuzione. La vittima è privata di tutta la sua umanità, del suo pudore, della sua capacità di esser soggetto; è umiliata, scoperta. Immaginiamo un povero pastore o contadino, arrestato dai carabinieri strappato al suo ambiente, condotta impaurita nel manicomio criminale e qui affidata ai freddi e imparziali studiosi. In un ambiente estraneo e inconcepibile, davanti a tecniche che non capisce, manipolato da "superiori" che lo utilizzano come oggetto sperimentale. La sua immagine finisce poi negli archivi per essere utilizzata eventualmente anche a scopi giudiziari. Difficile anche per noi, esaminando l’immagine superficialmente, sottrarci all’impressione che quello raffigurato sia un anormale pericoloso. Si intuiscono i motivi che indussero il neonato Stato unitario, nonostante le ristrettezze dei bilanci, a porre come obiettivi principali della spesa pubblica, accanto ai cantieri navali e alle corazzate, la realizzazione rapida di una quantità impressionante di manicomi sparsi in tutta la penisola. Una scrittura inalienabile, poiché scritta sul corpo, da parte di un alienato socialmente. Una scrittura incomprensibile, perché aliena da quella usuale delle classi colte dell’epoca, si trasforma in un marchio infamante.

I moduli con cui questa trasgressività è espressa non sono poi nuovissimi. Essi risalgono almeno alle avanguardie artistiche di inizio secolo, la cui caratteristica di provocazione ed eversione nei confronti del mondo borghese dell’epoca viene riplasmata per essere piegata ad esigenze della pubblicità e del consumo di massa. Una serie assai ampia ed elastica di moduli espressivi, di schemi, consente a ciascuno di autorappresentarsi e di autopercepirsi – di autoidentificarsi – con grande libertà, fuori da quelli che vengono posti e che appaiono come i canoni ufficiali della società. In realtà questi canoni non sono affatto posti: essi appaiono soltanto, sono immaginati. Essi costituiscono lo sfondo omogeneo necessario per far risaltare le scelte di diversità, le trasgressioni, le individualizzazioni. In effetti questi canoni hanno soltanto un ruolo negativo: sono il punto di riferimento per realizzare la differenziazione. Cosicché la personalizzazione, la ricerca della trasgressione, avvengono all’interno di un canone fondamentale che è previsto e deliberatamente imposto proprio dalle agenzie che forniscono i modelli di riferimento. E’ la società stessa che propone come essenziale il diritto alla personalizzazione, il diritto alla realizzazione di forme espressive del tutto personali quali strumenti per autoidentificarsi e definirsi. Ma, occorre dirlo chiaramente, il diritto alla personalizzazione di cui parliamo e che è concesso è quello della personalizzazione del consumo. La trasgressività è infatti la regola a livello puramente estetico e le varie scelte di diversità operate dai singoli rimangono, in definitiva, solo a livello estetico. L’omologazione impone la diversità ma solo la diversità estetica. Per altri versi, infatti, la diversità vera, autentica, è sempre meno tollerata. Chi è fuori dal consumo, chi, per qualunque motivo, non entra all'interno del contesto sociale, è anche privo di dimensione estetica. Non "dice" nulla, non ha nulla da dire: è totalmente anonimo. Le immagini televisive dei profughi e delle vittime delle tante guerre irreali che appaiono sui nostri teleschermi hanno tutte la medesima caratteristica: sono anonime, prive di identità. Questi uomini, queste vittime, potrebbero essere intercambiabili: un profugo serbo, uno albanese, giavanese, centroafricano sono eguali (e sovente le agenzie di comunicazione li utilizzano gli uni per gli altri approfittando proprio di questa intercambiabilità), sono privi di identità riconoscibile, non identificabili, anonimi. Proprio questa impossibilità di identificazione estetica, questo anonimato espressivo, li rende davvero "altri" rispetto a noi, inaccettabili, pericolosi sul piano simbolico prima ancora che su quello dell’ordine pubblico. Il vero diverso non è il trasgressivo ma chi rimane senza volto.


Quest’immagine è tratta da un quotidiano olandese degli anni ’70 (fonte: internet): raffigura una prostituta tossicodipendente accusata di aver ucciso la sua bambina con la droga. Il giornale si intrattiene a lungo e diffusamente sull’abitudine della dona di somministrare cocaina alla figlia in modo da renderla indifferente e partecipe a scene di sesso poi riprese con telecamere e vendute sul mercato pornografico olandese. Se ci liberiamo del disgusto per il reato e rimaniamo alla foto notiamo come l’evidenza deliberata del tatuaggio abbia il valore di appesantire il giudizio morale sulla donna: cosa infatti di più orribile, per questa "madre snaturata" di tatuarsi sul braccio il nome dei figli per poi ucciderli? La foto invita cioè ad un giudizio morale decisivo utilizzando proprio il tatuaggio, segno evidente del carattere infame della donna. I protestanti olandesi, polemicamente, la definirono sui giornali "La Vergine di Amsterdam". a rilevato che l'unico segno caratterizzante la donna, per il resto anonima, è proprio il tatuaggio. Nella cultura occidentale la prostituta tatuata fa parte dell’immaginario collettivo della società. Di fatto, però, la categoria ha sempre ricorso, almeno in passato, assai poco alla pratica. Oggi l’immagine della donna "personalizzata" mediante tatuaggi si diffonde anche qui, soprattutto ai livelli più alti. E’ interessante notare il movimento dell’immagine donna tatuata: prima la società costruisce l’immagine delle prostitute tatuate; in seguito, utilizzando lo stile trasgressivo rivalutato, l’uso del tatuaggio si diffonde tra le donne socialmente "puliti"; infine il modello ritorna, questa volta realmente, tra le prostitute. Certo solo ad una fantasia inguaribilmente romantica la prostituta può apparire come modello di donna libera. In posizione sociale marginale, quello che si può dire al massimo di lei è che è trasgressiva, non conformista. Il discorso è simile a quello di un altro accessorio di donne certo non libere: le cavigliere delle schiave trasformate in gioielli.

Il dovere di trasgredire

La trasgressione diviene un valore, accettabile, e riconosciuto, a patto di non uscire dai limiti dell’estetica del consumo, a patto che sia ininfluente sul piano sociale. La modernità ha ingoiato senza problemi decine di rivoluzioni espressive e nessuna vera rivoluzione politica. L’aurea romantica dell’eroe trasgressivo, del ribelle animato dalla firma interiore, dell’artista non integrabile, divengono modelli riconosciuti e accreditati dell’immaginario collettivo. Si potrebbe dire che la stilizzazione, l’adesione a stili personalizzanti, sia diventata alla fine un prerequisito per far parte della società. Occorre molta attenzione a non confondere la libertà di aderire a vari stili di consumo, in definitiva, dalla libertà, ad esempio, politica. Che la gamma dei modelli e degli stili sia ampliata all'estremo non equivale a garantire una maggiore libertà.


Il lettore non si lasci ingannare dal sangue: si tratta di una foto in posa e non di un’immagine realistica (fonte: internet). Osserviamola: una donna assai bella e curata (orecchini e trucco, sugli occhi, sulle labbra, sul viso, sulle mani…) ma in pericolo (il sangue) si tiene il collo con una mano (che non è affatto sporca di sangue: non è necessario, il sangue è infatti richiamato dal colore dello smalto delle unghie: esattamente lo stesso colore). Il braccialetto sanitario al polso indica che la si sta curando. Il primo a portarle soccorso è l’uomo con il camice aperto sul cui torace trionfano evidentissimi tatuaggi. Il carattere inquieto dei tatuaggi è smentito dal lavoro prezioso del sanitario senza le cui braccia virili (i corpi della donna e dell’uomo hanno diverse tonalità, l’uomo è più virilmente scuro, la donna più gentilmente rosea) la donna sarebbe persa. Un tatuaggio non fa un criminale, anzi, a volte fa il salvatore. Ovvero, l’abito non fa il monaco. Il sangue rosso, una donna abbandonata e semiscoperta, con un seno esposto al limite destro dell’immagine; un uomo scuro e forte, tatuato e senza volto che si prende cura di lei. Un melange di simboli che alludono ad un erotismo trasgressivo. Accettando per scontato il valore anche erotico dei tatuaggi, l’immagine apre la possibilità che quest’erotismo possa svilupparsi anche nella direzione della normalità e non solo in quella dell’inquietante marginalità dei "delinquenti" di Lombroso.

Questo spiega l’ossessione del corpo che, giovani, stilisti di moda, pubblicità e mondo dell’arte e dello spettacolo sembrano condividere. Il corpo è lo strumento di comunicazione più immediato e quello in grado di significare la propria identità nei termini più concreti. Lo sbando comunicativo, l’insignificanza della galassia di messaggi nei quali siamo immersi, spinge a ricercare strumenti cognitivi e simboli espressivi al di sotto (o al di sopra) di quelli verbali usuali. Il disagio esistenziale, le difficoltà del vissuto, l’incapacità di orientamento in un mondo privo di significato perché sovraccarico di significati, spinge alla ricerca di simboli immediatamente concreti, capaci di ritrovare sotto l’insignificanza generale, un livello di concretezza immediato. Il corpo è apparso la base espressiva, capace di esprimere meglio di ogni altra questa esigenza elementare di concretezza. Il corpo diviene allora il luogo ove situare le diverse personalizzazioni, il campo per raccogliere i vari stili cui si aderisce, ove disegnare nel modo più efficace ed evidente, per sé e per gli altri, la propria individualità. Ecco allora il diffondersi di modi di scrivere il corpo, dal tatuaggio, al piercing, alle acconciature più stravaganti, al trucco esagerato, stanno al diffondersi a tutti i livelli della chirurgia estetica, che indifferentemente interessa uomini e donne. Il corpo serve per dire la propria personalità e nessuno può tacere a riguardo. Tutti abbiamo l’obbligo di avere una personalità.


Ovviamente il mondo della produzione non poteva non accorgersi delle possibilità espressive dei corpi tatuati. Una celebra casa di profumi associa all’immagine del profumo quella di una virilità "perbene". Il tatuaggio prende il posto delle antiche cicatrici sul volto di un uomo: nonostante l’aria vissuta si tratta però di un uomo chiaramente non pericoloso, come rivela l’abito elegante e da sera (con il sottinteso della partecipazione ad una certa mondanità borghese). Nessuna sicatrice ma solo un tatuaggio deliberatamente scelto. Inutile dire che un tatuaggio evoca certo meno pericoli di una cicatrice: rimane una certa aria fuoriposto a significare una trasgressività non eccentrica. Si può esser gentili e rimanere uomini veri: basta un profumo e un segno estetico.

Quest’obbligo non va inteso come passiva imposizione dall’alto. La situazione di inespressività, l’impossibilità di far presa su un reale che sfugge proprio a motivo dell’eccessiva ridondanza di senso, genera disagio per l’individuo e la ricerca di stili espressivi personali è una ricerca di autenticazione. Il fatto che i modelli stilistici siano di fatto predefiniti  non cancella l’autenticità di una ricerca individuale che cerca di autorappresentarsi in modo personale e non massificato. Le modifiche al proprio corpo sono anche il tentativo di controllare l’unica parte dell’universo sulla quale si dispone di qualche potere. Sul proprio corpo vengono scritti e resi visibili desideri e ossessioni latenti   (si pensi al caso dell’anoressia). Mediante queste scritture ci si autorappresenta, si dona e si raggiunge un’immagine di sé, ma si trasforma anche il rapporto con il mondo esprimendo e liberando parti nascoste di sé. Il piercing, il tatuaggio, la cicatrice artificiale, il silicone per la chirurgia estetica, divengono disegno creativo, linguaggio di liberazione di desideri e proiezioni nascoste. Si scrive sull’unico materiale, il corpo, che, dal punto di vista del soggetto, è permanente e sottratto al mutare delle mode; si rende permanente qualcosa sfuggendo al caos semantico del divenire, si dimostra, a sé e agli altri, la propria libertà di agire sul proprio corpo come si crede.


Si tratta di una foto chiaramente costruita (Fonte: internet). La modella è deliberatamente in posa. Nondimeno è esemplificativa delle tendenze contemporanee di scrittura sul, e con il, corpo. Elementi infantili si scontrano con la loro negazione. L’abito, infantile, da bambina più che da adolescente, contrasta non tanto con la pistola stretta nelle mani, potrebbe infatti essere un giocattolo, quanto con il disegno sull’avambraccio sinistro, esplicitamente audace. Il rossetto sulle labbra riduce in modo così falso la bocca della modella da far stridere il taglio naturale della bocca, da adulta, con il disegno del trucco, la bocca a cuore delle bambine. I fermacapelli infantili, la stessa espressione imbronciata, da adolescente scontenta, stridono con la posa artificialmente dura e con lo sguardo "di traverso", che allude al pericoloso "guardare di traverso" dei criminali. Il disegno-tatuaggio sul braccio ripropone, poi, in piccolo, l’intera gamma dei valori dell’immagine, quasi uno specchio nel quale si riflette la modella. Una dona seminuda (scarpe e guanti rossi, stesso colore dell’abito della modella, acconciatura o cappello da cow boy neri, calze e slip a tanga, indumento la cui diffusione meriterebbe un’indagine) che stringe nelle mani delle pistole. Il disegno è rovesciato e la donna è a testa in giù. L’intera immagine è costruita su una gamma di inversione di significati il cui senso complessivo, in definitiva, è quello di evidenziare una trasgressività ridotta al solo piano estetico.

Gran parte di queste pratiche, se non tutte, comportano, inoltre, un passaggio doloroso. Le modifiche al proprio corpo avvengono dunque attraverso il dolore che diviene anche lui una modalità espressiva autenticante. Facciamo il confronto con un'altra esperienza che è per definizione individuale, personale e comunicativa: il sesso. I tatuaggi hanno, inutile dirlo, un evidente valenza retorica; il piercing, che interessa sovente le zone erogene, ha parimenti la funzione di incanalare e controllare le energie erotiche. Chiaramente quella sessuale è sempre un’esperienza assai individuale e che coinvolge l’intero nostro universo mentale e fisico. Tuttavia tante e tali sono le immagini e i significati che l’industria del sesso ha imposto nelle menti degli uomini e che tutti noi subiamo che persino questa esperienza può essere disautenticante. Anche ai livelli più coinvolgenti emotivamente ed affettivamente, il sesso può legarsi a situazioni di alienazione. Se c’è invece qualcosa che per definizione rimane unico e unicamente nostro, qualcosa che non può esser mai condiviso (almeno così appare alla coscienza sensibile) e che può dunque essere usato senza timore di alienazioni per indicare esperienze uniche e irripetibili, profondamente autenticanti, questo è il dolore. Lo sviluppo e il diffondersi, qualitativo e quantitativo, delle pratiche sadomaso non può esser compreso se non in relazione a questo uso autenticante del dolore.


Se il tatuaggio è un prodotto, allora occorrerà pubblicizzarlo adeguatamente, magari suggerendo non solo i modelli ma anche dove scriverli. Si va a formare quasi una grammatica del tatuaggio: la trasgressione diviene norma (Fonte: internet)

Dal punto di vista dell’individuo tutto ciò ha, senza dubbio, valenze liberatorie. Gli stati ansiosi derivanti dalla disautenticazione e dai vissuti alienanti vengono in qualche modo dominati ed agiti. Le scritture sul corpo danno senso all’indicibile; il dolore consente di acquisire il senso della propria esistenza. A queste forme di scrittura si unisce spesso, cosciente o meno, una sfrenata esaltazione del consumo. Del resto, almeno nei casi di alcuni interventi di chirurgia estetica, l’investimento economico nella scrittura è notevole. Di fatto esse si accompagnano ad un’esaltazione del sé, ad uno sfrenato narcisismo. Questo acquista però un senso positivo se lo intendiamo come antidoto all’incombenza della depressione.

Del resto questa continua ricerca del nuovo espressivo, ancorché rimanga sul piano dell’estetica, non per questo non produce novità. Al contrario, proprio per evitare che sfugga qualcosa al consentito, che il nuovo rimanga un elemento pericoloso, si genera una continua rincorsa alla produzione di linguaggi sempre nuovi da parte delle sottoculture. Questa estrema mobilità risponde ai canoni della modernità, caratterizzata dal valore della velocità e della trasformazione. Tuttavia anche altre ragioni possono spiegarla. Le agenzie responsabili delle strategie comunicative utilizzano continuamente ogni linguaggio che nasce dal basso piegandolo per le proprie esigenze e restituendolo dall’alto, trasformando in oggetto di consumo ciò che prima era solo espressione di disagio. Per sfuggire a questo travisamento, a questa trasformazione della protesta in consumo, le subculture sono costrette ad una produzione incessante di nuovi linguaggi.

Si tratta, naturalmente, di libertà astratte. La libertà di agire su quel microcosmo che è il corpo non ne altera minimamente la capacità di partecipare all’universo del consumo, anzi. Lo scrivere il corpo si accompagna ad un narcisismo sfrenato che, se non come motivazione certo come corollario, è connesso con l’esaltazione, quasi il delirio, del consumo.


Un tatuaggio il cui valore è squisitamente erotico. Qui l’aggressività della belva con la bocca spalancata contrasta deliberatamente con la posizione dimessa e volutamente remissiva della modella,. Un contrasto tra bon ton sociale e trasgressione dichiarata (ma non realizzata) dall’aristocrazia europea contemporanea che conta, tra i suoi membri eccellenti (tra cui moltissimi Savoia), un gran numero di tatuati. Nell’immagine la contraddizione è sciolta dalla nudità della ragazza stesa sul letto: la fanciulla remissiva ed ingenua è comunque capace di essere un’amante. Nel caso della nobiltà europea il superamento dialettico della contraddizione è ancora più agevole grazie alla potenza economica della classe (Fonte: internet).

Lezioni di bella scrittura

La chiesa ha una posizione di fatto inconciliabile con il tatuaggio e il piercing. Lo ha avuto in passato anche con il trucco e le acconciature, suggerendo soprattutto alle donne una maggiore modestia. Ma il conflitto con tatuaggi e piercing, non effimeri come il trucco e le pettinature o i gioielli, è inconciliabile. Non saprei se il tema è stato affrontato ufficialmente in documenti ecclesiastici ma non è poi essenziale. L’uomo fatto ad immagine di Dio non può artificialmente mutare il suo corpo: sarebbe un truccarlo in senso sporco. Farlo equivale a rifiutare il modello di cui è immagine. Così la pratica assume un valore implicitamente di contestazione nei confronti dell’istituto Chiesa. Un discorso simile si potrebbe fare per l’altra grande agenzia pedagogica: la scuola. Inutile dire quanto l’immagine di un giovane (o di un professore o anche di un ausiliario, quelli che venivano un tempo chiamati bidelli) contrasti con quella tradizionale del bravo ragazzo di scuola (o del bravo professore, bidello…). Questo spiega perché i nuovi linguaggi siano incompatibili con le agenzie detentrici per eccellenza del potere sul linguaggio scritto: quale che sia il Libro o i libri di scuola. Non deve sorprendere, allora, che i giovani siano afasici, che non abbiano più parole e che, per esprimersi, si affidino al forme di comunicazione più immediatamente emotive e corporee, quali la musica, la danza, il sesso o, secondo quanto stiamo tentando di dimostrare, le scritture sul corpo.


Una ridondanza di segni il cui effetto è l’ambiguità. Nell’immagine una serie di disegni e colorazioni che contemporaneamente affermano e negano la femminilità della modella. Sia le calze a rete, dal basso, che la verticalità del disegno sul corpo della modella invitano lo sguardo sul pube che è, però, nascosto dalle ombre dominanti. Questa negazione è contraddetta però dai seni, colorati per evidenziarli, che lo sguardo incontra risalendo. Nonostante la loro evidenza i seni non sono però sufficienti a chiarire la femminilità: occorre risalire ancora al viso che però è visibile solo parzialmente, anche dall’oscurità emergono le labbra evidenziate dal rossetto. Un’immagine dialettica che, per il suo carattere evidente di falsità, è opposta al vero, a volte disperato, tentativo di dire qualcosa scrivendo sul corpo. La scrittura su questo corpo  equivale ad un esercizio di sterile bella scrittura per un bambino delle elementari (Fonte: internet)

La persona che si tatua o si trucca o, con una parola eloquente usata dalle donne, si "aggiusta", non modifica il suo viso o il suo corpo bensì l’immagine che del corpo ha e propone. E’ tecnicamente impossibile tatuarsi, truccarsi, aggiustarsi da soli: occorre un’altra persona o, come minimo, uno specchio, ovvero un’immagine. Si agisce sul corpo per dargli un senso, per "culturalizzarlo" , quasi che il corpo sia ormai troppo naturale per esser utilizzato, così com’è, al fine di costruirsi un’immagine. Il corpo, quale oggetto naturale, è troppo nudo. Ecco allora un campionario di vari livelli di scrivere il proprio corpo, di vestirlo di senso.

Una volta la pelle bianca era il segno della bellezza. Chi lavorava, l’universo contadino, che proprio perché lavorava non aveva tempo per curarsi, aveva la pelle abbronzata. Chi non lavorava, si manteneva all’ombra, e aveva tempo per curarsi, aveva la pelle bianca: ecco allora la preferenza del bianco, la sua capacità di significare l’assenza di imperfezioni (cicatrici, callosità…) derivanti dal duro lavoro e la morbidezza di una cura costante, bisognevole di infinito tempo libero. Oggi il senso si è rovesciato. Una pelle abbronzata è una pelle che ha avuto modo di far vacanze mentre chi rimane a casa e non ha tempo libero è irrimediabilmente pallido. Il codice si è rovesciato ma funziona allo stesso modo. Oggi come ieri la pelle soffice e vellutata, la pelle bella, è associata al tempo libero, alla ricchezza, alla distanza dal lavoro: solo che oggi ciò è possibile unicamente per chi ha la possibilità di fare lunghe vacanze. Si ristabilisce la distinzione sociale. E oggi come ieri chi non è in grado di partecipare alla categoria dei privilegiati li scimmiotta: le prostitute di una volta si imbellettavano artificialmente per sbiancare la loro pelle mentre i borghesi tentavano di imitare la nobiltà adottando le parrucche (pratica interrotta letteralmente dall’igienica trovata della ghigliottina nella Rivoluzione francese); oggi la moda alto borghese dell’abbronzatura in terre esotiche o in saloni di bellezza è imitata dai disoccupati che si sdraiano al sole le domeniche di agosto.


L'illuminazione violenta ma laterale tende a dare il senso si un sole ancora alto ma non più, o non ancora, allo zenit: la ragazza ha tutto il tempo che desidera per crogiolarsi ai suoi raggi, come testimoniano anche gli occhiali scuri (nessuno porta gli occhiali per stare al sole pochi attimi). L'acqua trasparente che riflette i raggi solari, il giallo solare del materassino, il corpo abbronzato della ragazza: tutto tende a esprimere una solarità enfatizzata. La trasparenza dell'acqua incornicia il materassino che incornicia il corpo che incornicia l'abbronzatura: non è la modella ad esser raffigurata ma il sole. La ragazza galleggia più tra i raggi solari che sull'acqua della piscina. Non a caso, del resto, il fotografo ha scelto una piscina:   fotografare la stessa ragazza su una spiaggia avrebbe potuto farla confondere con una bagnante domenicale: ora che l'abbronzatura si è democraticizzata occorrerà un altro segno per distinguere le persone di classe. (Fonte: internet)

L’uso del tatuaggio, scoperto o riscoperto in occidente grazie ai marinai, soprattutto inglesi, delle prima navi di esploratori e colonizzatori, fu introdotto prima, contemporaneamente, nelle classi più basse e più alte della società: almeno le élite inglesi più spregiudicate non tardarono ad adottarlo quale segno di spregiudicatezza. Esso acquisì immediatamente valenze di identificazione sociale ed estetica perdendo, ovviamente, tutti i significati che aveva presso i vari popoli coloniali. Il recupero e la diffusione contemporanea, nonostante lo sbandierato etnicismo continua a mantenere le stesse valenze. Nella civiltà urbana occidentale (forse occorrerebbe fare alcune distinzioni per alcune gang giovanili nei quartieri degradati) al di là dei significati particolari il tatuaggio continua ad indicare spregiudicatezza. Che il tatuaggio possa essere segno del potere è evidente: la marchiatura aritmetica dei deportati nei lager come principio della scheda anagrafica ideale sognata da tutti i sistemi di controllo: il documento di identificazione perfetta che coincide con la persona. Però può avere, proprio per chi non ha altra carta su cui scrivere, anche il senso della protesta estrema. Nei lager sovietici i prigionieri si tatuavano a volte, con il fuoco, sulla fronte frasi eversive e di contestazione, del tipo: "Sono un prigioniero di Stalin". Queste frasi venivano scritte sui lembi di pelle più visibili, in particolar modo sulla fronte. L’abisso del potere totalitario si rivelava allora in una censura che colpiva il corpo stesso: le frasi incriminate erano cancellate togliendo il lembo di pelle su cui erano incise, allo stesso modo di come si strappa una pagina da un quaderno.


Due immagini di detenuti in un carcere sudamericano. Richiamano in parte quelle dell’archivio di Lombroso. I detenuti raffigurati sono criminali comuni, distinti dai politici per i quali l’uso del tatuaggio era assai meno diffuso: anche qui è "evidente" la loro pericolosità proprio grazie ai tatuaggi. Vale la pena di notare che, almeno in due casi, si tratta di tatuaggi a carattere religioso. Nei marinai inglesi e francesi del ’600 i tatuaggi con raffigurazioni religiose andavano a coprire le zone più sensibili del corpo per indurre, durante le punizioni, l’addetto alla frusta a dirigere altrove i suoi colpi. Difficile dire quali siano le motivazioni che hanno indotto i due detenuti sudamericani a ricorrere a raffigurazioni religiose. E’ tuttavia possibile recuperare un qualche tipo di senso anche a questa scelta. gruppi sociali sottoalfabetizzati (come già nell’immagine tratta dall’archivio Lombroso) dispongono, come riserva di simboli cui attingere, principalmente della classe dei simboli religiosi e sono dunque in qualche modo costretti a ricorrere a quei fonemi simbolici per sforzarsi di dire il loro disagio. Un po’ come il satanismo moderno è costretto a ricorrere alle categorie teologiche cristiane per negare il cristianesimo. (Fonte: internet)

La depilazione era inizialmente esclusivamente femminile e aveva la funzione di sottolineare la differenza uomo (peloso)/donna. Marcava quindi la femminilità. Non a caso i oltre ai capelli soltanto in una parte del corpo era tollerata, anzi richiesta la presenza di abbondante peluria. Il valore della levigatezza, dell’assenza di elementi di disturbo della liscia superficie plastica o metallica degli oggetti di produzione industriale, imposto dalla società della tecnica, ha poi imposto l’assenza di peli come modello unisex. Anche gli uomini si depilano e anche la tolleranza della peluria femminile nell’"area bikini" si è ridotta fortemente. Non a caso la contestazione degli anni ’60 utilizzava oltre ai capelli lunghi anche i peli come segno di protesta. Insieme ai roghi di reggiseni il Movimento di Liberazione della Donna negli anni ’70 aveva anche promosso l’abolizione della depilazione delle gambe. Quanto agli uomini, la crisi del modello di virilità maschile tradizionale, la crisi della figura maschile in generale, non poteva che mettere in discussione l’equiparazione peli-virilità. La depilazione, poi, leviga il corpo, lo rende liscio e definito come un prodotto industriale: ha molto in comune con le ultime due forme di scrittura: piercing e chirurgia estetica.

Queste rappresentano le forme estreme di alterazione del corpo, in ossequio ai nuovi valori della produttività nella civiltà industriale, come se il corpo dovesse essere, il più possibile, avvicinato alla dimensione dei prodotti industriali. Elementi luccicanti, smaglianti, meccanici, quali spille, gioielli, bulloni, viti, vengono introdotte a definire con la loro durezza un corpo troppo morbido. Analogamente, la chirurgia estetica, essa stessa una pratica industriale, dell’industria della salute, va a modellare, levigare, lisciare un corpo, plastificandolo sia internamente con prodotti chimici quali il silicone, sia, soprattutto, esternamente togliendo ogni asperità e consentendogli di acquistare lo stesso aspetto smagliante della carrozzeria di un auto nuova. Solo dopo esser trasformato in oggetto di azioni meccaniche il corpo può riacquistare, rinascere a, una nuova soggettività.


Utilizzo di differenti tipi di scrittura sul corpo e di messaggi difformi equivale ad una vera e propria dispersione espressiva il cui scopo è quello di accettare, nel tentativo disperato di controllarla, la propria dispersione esistenziale. Ecco un esempio che mostra l’unione di vari modi per scrivere il corpo. La ragazza di destra ha due tatuaggi (forse tre, se quello sul braccio sinistro è un tatuaggio) visibili: un disegno con il volto della mezza luna sul lato destro del ventre e una scritta arabescata sopra il pube. Se osserviamo gli accessori, oltre agli occhiali, che pure entrano nel gioco degli stili, ha un bracciale colorato sul braccio sinistro e un collare a catena attorno al collo. Le modifiche permanenti del corpo comprendono tre spille, due che forano i capezzoli e una all’ombelico. Sulla lingua si intravede un ulteriore piercing, probabilmente una pietra dura. Entrambe le ragazze sono accuratamente depilate: una in modo totale, la seconda in maniera più "strategica". Anche se non si può escluderne l’uso da parte della prima ragazza, non è evidente il ricorso a pratiche di chirurgia estetica. Nonostante sia nuda, la ragazza di destra mostra in effetti una ridondanza di segni che hanno la funzione principale proprio di dire, di strillare, questa nudità, come se la sola assenza di vestiti non fosse sufficiente. Infatti essa appare più "nuda" della sua compagna nonostante nessuna delle due indossi nulla. Entrambe le ragazze questa nudità hanno dovuto scolpirla, renderla liscia, plastificarla e rafforzarla. L’aspetto di entrambe, nonostante l’avvenenza, non è quello di modelle professioniste: nessuno dei vari segnali ha dunque un valore professionale (si noti, tra l’altro, che la mano che cinge i fianchi della compagna non ha l unghie smaltate). Difficile ricostruire per intero lo schema di questi segni (a meno che non sia proprio la loro dispersione il senso complessivo) è però indubbia la funzione che alcuni hanno di dichiarare apertamente una simbolica (non necessariamente reale) disponibilità sessuale: immagine essenziale per esprimere il carattere di donne "liberate".

La pluralità dei segni e delle trasformazioni artificiali (tatuaggi, piercing, trucco, acconciature ma anche l’abbronzatura o l’uso crescentemente diffuso di cicatrici estetiche artificialmente prodotte) marchiano il soggetto, lo bollano, rivelando un carattere di difformità sia fisica che intellettuale (è irrilevante qui stabilire se la segnatura, il tatuaggio ad esempio, sia subita o scelta). Questi segni corporei separano il "particolarmente segnato" da chi non lo è. Ma proprio ciò rivela il senso particolare dell’assenza di segni particolari, del livello che potremmo definire "normale": l’individuo normale, quello senza segni, equivale ad una pagina bianca di quaderno in attesa di essere scritta. Il corpo è l’unica pagina che rimane alla gran parte degli spossessati nella società del consumo.

Marco Menicocci

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