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GIOVANI DI POCHE PAROLE
Forme giovanili di comunicazione
Marco Menicocci
L’età incompiuta
Con i giovani non si può
parlare; non si riesce a comprenderli e a farsi comprendere: sono evidenze che
corrono sul filo del senso comune. I problemi generazionali sono anche problemi
di comunicazione quasi che le parole non avessero, al di là del crinale che
divide i giovani dai non giovani, lo stesso significato, la stessa possibilità
d’uso. In effetti l’universo giovanile è, letteralmente, un universo di poche parole,
un universo nel quale la necessità di comunicazione si esprime mediante canali
diversi da quello verbale. Graffiti, macchie, immagini, musica, moda, fumetti,
video, droga, sesso, diventano strumenti di comunicazioni più apprezzati e
usati rispetto al linguaggio verbale.
La differenziazione
rispetto all’età adulta comporta una specie di rifiuto delle codificazioni
espressive percepite come adulte. Il linguaggio del corpo, quello della danza,
soprattutto quello musicale, più vicini al linguaggio gestuale e che consentono
un’espressività emotiva assai più immediata, divengono gli strumenti
comunicativi primari. Di fronte a quello che è percepito come una sorta di
monologo verbale da parte degli istituti adulti (scuola, chiesa, agenzie
economiche…) il giovane ripiega su forme espressive più proprie, particolari,
al limite settarie.
Tutto ciò è legato a
mutamenti sociali e psicologici che caratterizzano la contemporaneità. A
cominciare dalla stessa categorizzazione della giovinezza. I limiti
tradizionali di questa età sono scomparsi. Non è chiaro quando la giovinezza
inizi e, soprattutto, quando finisca. Anzi: una delle poche cose che la
galassia mass mediatica impone come verità evidente è che la giovinezza non
finisce mai o, almeno, che tutti hanno diritto ad essere eternamente giovani.
La condizione giovanile è
dunque una condizione senza limiti, mai conclusa, mai terminabile. Cosicché la
giovinezza diviene la una situazione esistenziale incompiuta per definizione.
Un’incompiutezza che fa saltare tutte le tradizionali distinzioni sociali,
demografiche, geografiche. Sotto certi aspetti la giovinezza è l’età
democratica per eccellenza: ai fini dell’autopercezione di sé esser giovani ad
Amsterdam, Roma, Berlino, è la stessa cosa; provenire da famiglie borghesi o di
disoccupati, tutto questo è irrilevante: si è comunque giovani e si partecipa
di quella caratteristica essenziale della gioventù, l’incompiutezza. E,
naturalmente, del disagio che ne deriva. Rimane da chiarire se, e in che
misura, il disagio giunga al livello di coscienza. Nonostante certe
manifestazioni, l’età felice per definizione continua, per molti versi, ad
essere l’età felice: a testimonianza della difficoltà di strapparsi una
coscienza alienata. Anche qui uno dei motivi della difficoltà di "dirsi"
la propria situazione può risiedere nella problematicità dell’uso giovanile del
linguaggio verbale.
Frammenti e vestiti
Le ricerche sulla
psicologia dei tossicodipendenti hanno evidenziato che esiste, in alcuni casi,
soprattutto connessi con l’uso di eroina, un legame tra il disordine e
l’abbandono degli ambienti dove il tossicodipendente vive, e la frammentazione
del suo universo mentale. Compariamo questo disordine e questo abbandono con la
stanza di un giovane. Vi regna la discontinuità, la frammentazione. Questa
stanza è chiaramente diversa rispetto al resto di casa. Il suo arredamento è
diverso, la carta da parati sopraffatta da poster, disegni, manifesti, foto, in
un susseguirsi di apparente casualità. La pluralità è la regola e l’ordinato,
continuo spazio casalingo travolto nel colore e nella dispersione. L’universo
domestico delle regole tradizionali, dei ruoli, delle definizioni, esplode in
un pluri-verso. Questa stanza è, certo, espressione dell’assenza di compiutezza
e di unicità della mente di chi la abita ma è anche, nello stesso tempo, il
segno di del rifiuto di ogni congelamento espressivo. Essa espone una galassia
di facce-segno temporanee attraverso cui il giovane si costruisce la sua
identità. La costruzione simbolica della stanza richiama, infatti, quella
dell’abbigliamento giovanile. Quello che a uno sguardo superficiale appare come
un’accozzaglia di segni, un insieme di simboli assemblati casualmente o secondo
i dettami di una moda capricciosa passivamente subita è in effetti una totalità
piena di senso per chi la indossa e per gli amici che gli sono intorno. Una
totalità espressiva che è lo strumento mediante il quale stabilisce modi di
accettazione e di costruzione del proprio sé.
In un gruppo di giovani,
apparentemente, sembra prevalere l’uniformità. Non solo gli abiti ma persino i
sessi tendono a convergere. In effetti le cose stanno diversamente e l’assiduo,
ossessivo, smisurato consumo di accessori "inutili" dovrebbe metterci
in guardia contro facili generalizzazioni. La rincorsa continua all’acquisto di
novità, di nuovi capi impercettibilmente diversi dai precedenti; il susseguirsi
di stili e di particolari indossabili; il correre continuo dietro al nuovo
irrilevante, si rivela, all’analisi, decisiva. L’universo giovanile è infatti
composto di una pluralità magmatica di microgruppi – vere e proprie unità di
riferimento per il giovane – ciascuno con i suoi segni distintivi e i suoi
simboli caratterizzanti. Tratti degli abiti, colori, uso e posizione degli
accessori, persino singole marche o griffe costituiscono un codice,
ricostruibile solo dai membri, per il riconoscimento reciproco. Come se i
giovani si fiutassero a vista di continuo e reciprocamente mediante una
dispersione di segnali visivi.
Questi microgruppi
trasversali, punti essenziali per l’autoriconoscimento giovanile, mutano di
continuo costringendo il giovane ad una continua rincorsa. La temporaneità è il
loro carattere. Ma la temporaneità è anche, si è visto, il carattere delle
facce che il giovane si costruisce: esse sono tutte im-permanenti, tutte
temporanee. Incompiuto per essenza, il giovane è sempre e solo temporaneamente
qualcuno.
Incontri fuori centro
Con il crollo della
distinzione giovane/adulto e la dilatazione e interminabilità della giovinezza
tutte le usuali categorie mutano significato. Il tempo, ad esempio, cessa di
essere lineare e progressivo. Non essendoci più la prospettiva di una meta, di
un’età adulta da raggiungere, il tempo perde la sua linearità e si avvolge
ripetitivamente su se stesso. Gli stessi mutamenti imposti dalla moda assumono
un andamento ciclico. Ciclicità del sabato sera, della discoteca; ciclicità dei
ritmi musicali; ciclicità degli incontri rave;
non c’è attesa se non di qualcosa che ripetitivamente si ripropone. Assistiamo
quasi ad una regressione alla ciclicità naturale pre-industriale, con la
differenza che oggi il ritmo dei cicli è scandito non dalla natura. Se sia
scandito dalla moda, dalla creatività culturale giovanile o da altro ancora, al
momento, non è possibile dire.
In carattere con l’assenza
di terminatezza anche lo spazio è dilatato, privo di elementi precisi di
riferimento. Lo spazio è mobile: la centralità, ad esempio, della piazza è
sostituita dalla mobilità della metro o dell’auto o del motorino che diventano
mezzi-luoghi di incontro e di vissuto. Il classico "muretto" come
luogo di ritrovo è l’espressione stessa dell’occasionalità dell’incontro. La
pluralità delle discoteche e la provvisorietà di alcuni centri di raduno sono
altri elementi di questa assenza di centralità. Gli spazi dei giovani tendono
ad essere incostanti e mutevoli. Pensiamo agli incontri rave illegali: un ex centro di produzione collassato (un capannone
abbandonato, una fabbrica chiusa…) diviene il contenitore per un'unica
irripetibile festa rave. Un non
luogo, in definitiva, è decontestualizzato dal resto dell’ambiente, ridisegnato
e ridefinito da graffiti, altoparlanti, illuminazioni, utilizzato come zona del
piacere: fatto vivere per una sola notte e poi abbandonato. Guidato da
imperscrutabili norme il rave si
sposta altrove: un continuo muoversi tra zone marginali senza alcun centro.
Il disorientamento
acustico cercato deliberatamente, l’asimmetria e l’irresolutezza musicale, la
violenza stessa dei ritmi, sono il commento sonoro a queste decentrazioni spazio-temporali
acuite dall’uso diffuso di alcool e droghe sintetiche.
Parte integrante della
crisi delle categorie usuali, è il superamento (ma non la messa in discussione)
anche della tradizionale distinzione corpo/ambiente esterno. Tra ciò che si
indossa e ciò che si appiccica alle pareti, tra quello che si scrive o si
disegna sui muri e quello che si scrive, incide, disegna sul corpo esiste un
sottile richiamo dialogico. Lo stile pop, trash, cult, tecno…ogni stile, mette
insieme graffiti, danza, musica, abbigliamento, trucco. La linea
interno/esterno si allenta e le interrelazioni si moltiplicano. L’io inconcluso
e temporaneo del giovane è indeterminato anche sul piano dei confini fisici.
Sarebbe interessante verificare questa situazione anche nella dimensione della
sessualità promiscua.
Concerto rock in Giappone. Il cantante è precipitato dal palco sugli ascoltatori e continua il concerto tra le braccia degli ammiratori esaltati. Di qualunque cosa sia portavoce è comunque certo che il cantante è portavoce dei suoi fans che si riconoscono in lui. Questi riconoscimenti, che seguono le onde della moda, non sono dicibili sul piano verbale. La musica travolgente, il comportamento di massa, il rituale del concerto, le luminosità... consentono ai partecipanti di esprimere dimensioni della loro esistenza che non potrebbero comunicare, neanche a se stessi, altrimenti.
L'altra faccia di un
concerto rock. La musica è finita e due giovani tentano di prolungare la magia
del momento leggendo qualche comunicazione attinente alla serata appena
trascorsa. Il problema dei grandi raduni giovanili di massa, quali i concerti,
è che riprendono gli aspetti esteriori degli antichi rituali con le loro
potenti funzioni aggregative ma non sembrano capaci di produrre valori che
trascendano i singoli episodi. Essi sono in grado di esprimere e canalizzare il
disagio giovanile ma non di oggettivizzarlo e tantomeno di fornire valori atti
a superarlo. L'aspetto festivo, destorificante, dei concerti e dei raduni ha
perso la capacità di produrre significati che trascendano il momento
contingente; ha perso la capacità di donare senso alla quotidianità.
Il pubblico ad un
concerto rock. Una pluralità di volti, in definitiva tutti eguali, che
fruiscono passivamente di messaggi preconfezionati dall'industria dello
spettacolo. Si badi però a non confondere l'immagine borghese che si ha dei
concerti dall'esterno con quella che ne hanno i giovani: la partecipazione ai
concerti cancella l'anonimato. I partecipanti vivono nel concerto momenti di
autenticazione personale e di incontro esaltante. I raduni giovanili sono non
solo momenti di socializzazione ma anche di incontro con se stessi.
Uno spazio destinato ad
un concerto giovanile in attesa che il gruppo salga sul palco. Nonostante la
gran quantità di persone (e il vocio assordante) avvengono in fondo molti meno
incidenti di quanti si potrebbe supporre; assistere a un concerto è decisamente
meno pericoloso di assistere a taluni incontri di calcio. I partecipanti
ostentano una grande informalità (utilizzando un codice rovesciato rispetto ai
concerti di musica classica) e una grande libertà di comportamento. Le normali
regole sono apparentemente superate: un utilizzo moderato di stupefacenti, di
alcool, di liberalità emotiva, sono tollerati; parte dei freni inibitori sono
sciolti. Questo non significa che non sia presente un codice di comportamenti,
anzi. Un esempio per tutti: il rispetto e l'obbedienza al servizio d'ordine del
concerto è assai maggiore rispetto a quello usata comunemente nei confronti
delle forze di Polizia.
Adolescenti poveri di
una metropoli americana in uno dei punti di ritrovo della loro banda. I
graffiti sui muri del loro ritrovo sono talmente tanti da diventare
incomprensibili come messaggi verbali. Non però come disegni: abbandonata la
funzione dell'espressione verbale i graffiti acquistano una funzione espressiva
per così dire "estetica" che si ritrova sugli indumenti dei giovani.
Strisce, accessori, scarpe, sono, insieme ai graffiti, i segni identificativi
della banda. L'esterno come ambiente si ricostituisce sul vestiario di chi lo
vive. Anche la sporcizia dell'ambiente è la stessa degli abiti dei ragazzi. Si
tratta di mezzi espressivi la cui povertà riproduce la situazione dei membri
della banda, trascinati perennemente ai margini della metropoli.
Una banda di giovani
punk giapponesi. Il vestiario, le acconciature, gli stessi atteggiamenti del
corpo e del viso sono volutamente "strillati". Si noti il gran numero
di uniformità presenti: dalle scarpe, al taglio delle giacche, alle acconciature.
Più che gli elementi di distinzione sono proprio queste uniformità a colpire
l'osservatore: i giovani sembrano, in definitiva, indossare una divisa
militare. Proprio questa uniformità, queste divise, consentono di ai giovani di
distinguersi e di identificarsi mediante l'adozione di differenti
"divise". Ciò testimonia l'esistenza di modelli di riferimento, in
gran parte sopranazionali (un'immagine simile potrebbe essere stata scattata a
Londra o Parigi), che sono sovraordinati alle scelte giovanili.
Ancora un'immagine di
una gang metropolitana in America. Sono piccoli dettagli, percepibili
soprattutto dagli interessati, a distinguere i membri di una banda da quelli di
un'altra. Accessori e segni, apparentemente insignificanti, marcano le
differenza. Un'antropologia del futuro potrebbe ricostruire la struttura
unitaria dei simboli, e delle loro relazioni, usati dalle varie bande
all'interno di una metropoli. Questa tendenza a distinguersi mediante segni è,
in ogni caso, diffusissima tra tutti i giovani occidentali. I diversi segmenti
di adolescenti, ad esempio, utilizzano sistemi assai simili per riconoscersi e
definirsi all'interno degli istituti (scuole, feste, punti di ritrovo...) delle
nostre società.
Una festa in un locale
notturno. Una coppia si abbandona a un ballo sfrenato. Le etichette tonde che
portano entrambi (con numeri non leggibili) e la diversità di stile di
abbigliamento, lascerebbero pensare ad un accoppiamento a sorteggio. In questo
caso i due potrebbero non essersi conosciuti prima della festa. Ad ogni modo la
comunicazione è subito stabilita mediante il contatto fisico del ballo, con un
coinvolgimento fisico assai maggiore di quello operato dal linguaggio verbale.
A fronte della regressione comunicativa verbale, del resto assai difficile
nelle condizioni di una discoteca con musica ad alto volume, si sviluppano una
pluralità di altre modalità espressive caratterizzate tutte da una preferenza
data alla comunicazione emotiva immediata rispetto a quella riflessiva mediata.
Animatrici di una discoteca e cubiste. La trasgressione sembra essere la norma: gli abiti non coprono quasi nulla e hanno la funzione di evidenziare, di sottolineare una dichiarata disponibilità sessuale a sua volta usata per comunicare assenza di limiti, libertà, possibilità di superare ogni barriera. L'immagine è assai studiata e non certo frutto dell'improvvisazione. La modella centrale è sotto una croce "fatta di vuoto", disegnata cioè dai vuoti delle decorazioni, e tiene le braccia aperte quasi volesse riprendere il tema religioso cristiano. Una serie di inversioni (croce vuota/croce di legno; modella donna/crocifisso uomo; sfrenatezza/compostezza dell'iconografia tradizionale religiosa; ...) marcano l'immagine per rovesciare i confini del sacro e precipitare nel caos. Anziché negato nella morte, come nella Crocifissione cristiana - almeno nel cristianesimo come è percepito dalla modernità consumista - il corpo è esaltato come sfrenatezza dinamica. A prima vista l'immagine è confusa, i confini stessi dei corpi poco chiari, il contrasto assai ridotto (ma nel passaggio al formato jpg l'originale ha perso qualcosa). Lo sfondo, l'arredamento della discoteca, si mescola ai costumi delle cubiste. Queste, del resto, sono per definizione quasi parte dell'arredamento: il loro ruolo è essenzialmente decorativo. Abiti, arredamento della discoteca, cubiste, divengono elementi espressivi dello stesso sistema di comunicazione.
Marco Menicocci