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PARLARE PER GIOCO

 

La realtà impoverita

Alla nostra coscienza il gioco si presenta, in senso immediato, come un riflesso impoverito della realtà. Questo sia a livello sociologico – è una cosa da bambini – sia, per così dire, ontologico: un videogioco sul tennis è solo una versione sintetica e ridotta di n vero incontro sportivo di tennis. Il videogioco, e il gioco in generale, si situa così rispetto ad un vero incontro, ad un evento reale che rappresenta, ad un livello più astratto e meno concreto. E’meno dotato di realtà, è meno reale: il bello dei giochi di guerra è che, differentemente dalla “vera” guerra, tutti tornano poi a casa. Se la realtà è, dunque, quella degli adulti e delle cose concrete, il gioco è un’attività inferiore, da bimbi e poco reale.
Naturalmente un gioco, l’attività ludica, ha sempre un qualche collegamento con la realtà, altrimenti non sarebbe un gioco ma l’abisso della follia. Però si considera che questo collegamento sia limitato. Un wargame sulla battaglia di Waterloo in qualche modo deve rispecchiare quel fato storico. Perfino un gioco fantasy evocherà un universo fantastico dato, presente nella nostra tradizione culturale. Sono però riflessi assai impoveriti rispetto ai fatti reali che intendono rappresentare. La battaglia di Waterloo, quella storica, combattuta a cannonate - vere - da Napoleone, appare più “vera” di quella giocata u una mappa da Mario Rossi e anche un gioco fantasy è in definitiva un impoverimento rispetto a qualsiasi insieme di tradizioni fabulistiche o epiche. Inoltre il gioco è, si è già notato, impoverito socialmente. Ad esso si dedicano i fanciulli ed il suo scopo, preparare alla realtà vera, da adulti, comporta implicitamente che esso non è, ancora, la realtà vera. Se la funzione del gioco è preparare alla realtà, questo comporta che nella preparazione la vera realtà è ancora limitata, povera. Una conferma di tutto questo la abbiamo nella riprovazione che circonda gli adulti che “ancora” giocano o che passano troppo tempo a giocare.

 

Lo specchio del mondo

Queste considerazioni sono però contraddette sia dalla serietà con la quale gli adulti si danno ai giochi, sia dall’universo economico che ruota attorno ad alcune attività definite ufficialmente ludiche. Il gioco è un affare economico che svolge un ruolo non trascurabile nella struttura sociale e che lo integra in pieno nel novero dei “problemi” seri di una comunità. Del resto è noto che il gioco comporta, per chi vi si dedica, una serietà estrema. Tutto questo viene a suggerire che il gioco è, per vari aspetti, uno specchio dell’attualità. Nei giochi si riflettono, infatti, modi di pensare desideri, valori di una determinata cultura. Regolamenti, scopi, strumenti, lo stesso linguaggio dei giochi esprimono il, e si adattano al, mondo che ci circonda. I giochi si trasformano per adattarsi al tempo e al mondo di chi li gioca: i giochi nascono, si diffondono, si sviluppano, e a volte muoiono, come tutti gli altri prodotti culturali.
E’ chiaro allora che il regolamento di un gioco, alla stregua di ogni altro prodotto culturale, è un riflesso dell’epoca che lo ha prodotto e necessariamente si adatta alla cultura di coloro che lo giocano. I giochi sono allora, a questo livello, il risultato delle dinamiche sociali e un prodotto storico nel quale si esprime, a suo modo, la complessità sociale. Non è però un riflettere passivo. Come lo specchio consente al sarto e all’uomo elegante di prendere visione della realtà ancora imperfetta e quindi di agirvi sopra mutandola (ad es.: apportando modifiche ad un abito mal fatto), diventando così strumento di azione concreta, analogamente anche il gioco è capace di agire ad un qualche livello e di cambiare l’attualità.

 

La logica dello specchio

Un gioco realizza per i giocatori un contesto significativo, un quadro organico coerente nel quale si inseriscono azioni intelligibili e che costituisce per il giocatore un’esperienza esistenziale coinvolgente. Ogni gioco si basa su un sistema di simboli e regole che stabiliscono il senso delle singole componenti e le relazioni possibili tra i giocatori e il contesto operativo. Questo sistema di regole è particolare per ciascun gioco ed è anche possibile affermare che un gioco è un insieme di regole. I giochi si differenziano tra loro, in buona parte, proprio per i diversi regolamenti, le diverse meccaniche di gioco, i diversi significati delle componenti. Le regole realizzano un sistema logico ordinato che definisce il possibile e il vietato all’interno del gioco. Si tratta di un sistema logico in sé coerente ed ordinato che distingue ogni gioco da tutti gli altri. D’altra parte esistono però principi logici basilari, una sorta di logica di secondo livello, che sono comuni a tutti i regolamenti. Esiste un sistema logico profondo che è presente e organizza tutti i sistemi logici di primo livello che abbiamo definito regolamenti. Questa logica di secondo livello deve essere ancora definita adeguatamente nei suoi principi e nelle sue relazioni ma è possibile delinearne alcuni tratti. Ad esempio nel gioco vi è sempre una sola finalità: vincere. Non si può giocare con altri scopi che non sia vincere. Il divertimento è in ogni caso strettamente collegato allo sforzo di vincere. Si può perdere, naturalmente, ma nessuno gioca con chi perde sempre: non avrebbe senso, così come è impensabile che qualcuno giochi con lo scopo di perdere. Tutti i giochi, inoltre, definiscono uno spazio ed un tempo. Può trattarsi di uno spazio ideale (ad es. nel caso di un role play), di uno spazio figurato (una mappa) o effettivo (un campo di calcio); il tempo può essere quello della partita di calcio o quello segnato dalla traccia dei turni di un boardgame. In tutti questi casi il gioco si realizza in un quadro spazio temporale che lo distingue dal resto della realtà. E’ come se il gioco ritagliasse un segmento di realtà tutto proprio, separato dal resto dell’esistenza, dotato di senso e finalità propri. Il gioco spezza il tempo normale facendo procedere a salti il giocatore, con vuoti temporali tra un gioco e l’altro.

 

Demone e Demiurgo

Mediante questi due livelli logici, i  l gioco assume la funzione di mettere ordine nel caos insensato della realtà. Dal punto di vista di chi gioca (sia nel momento del gioco, sia quando il giocatore si prepara a giocare oppure quando, nelle pause della vita quotidiana, riflette sul gioco, magari su una partita lasciata in sospeso) la realtà è insignificante e solo l’universo del gioco ha senso. Questo spiega la “passione” per il gioco e per le attività ludiche che molti giocatori non hanno il coraggio di confessare e che colpisce le persone più insospettate. Esemplare il caso descritto ne “Il giocatore” di Dostoevskij: la temibile Antonìda Vasìlevna Taràseiceva, la ricca nonna del protagonista, che giunta per caso in un casinò e sopraffatta presto dalla passione del gioco finisce per giocare e perdere tutto, compresi i soldi messi religiosamente da parte per i poveri.
Dal punto di vista di chi osserva il giocatore è un posseduto, e non a caso si dice che è in preda al “demone” del gioco. Per chi gioca, invece, è la realtà che è carente di significato e solo il gioco porta ordine, dona senso. Sopra la storia quotidiana e insignificante, banale, che sfugge all’azione e al controllo del soggetto, si apre un’altra storia, controllabile e ordinata. Il gioco diviene allora uno strumento per ordinare il mondo: un determinato gioco diviene un cosmogramma, un disegno dell’universo.
Nella sua capacità di dare senso ad una realtà caotica e di trasformarla (di trasformare, ad esempio, un pomeriggio di noia in una gara appassionante) il gioco somiglia ad un rito. Al contrario del rito, però, sempre immutabile, il gioco è invece aperto e vario: la gamma delle possibilità, per quanto vincolata dal regolamento, è assai ampia e vasta. In questa sua variabilità somiglia allora al mito. Si potrebbe obiettare che il gioco trasforma la realtà solo in senso metaforico, simbolico (ma i simboli sono l’unica realtà, o meglio: l’unica realtà è quella definita dai simboli) ma questo è scontato. Il gioco non pretende di sostituirsi al lavoro quotidiano e rimane un’attività che opera a livello metastorico. E tuttavia, anche a questo livello, ha funzioni sociali rilevanti: consente di riappropriarsi della propria soggettività storica, sia pure solo in una dimensione protetta; consente di riappropriarsi della capacità di essere soggetto del proprio vivere sottraendola alla reificazione quotidiana, all’alienazione. Quando il giocatore assume il ruolo di Napoleone in un boardgame o di un mago in un roleplay, diventa un altro pur rimanendo se stesso. Il sig. Rossi che gioca la battaglia di Waterloo, è Napoleone: non il Napoleone storico ma pur sempre il Napoleone di Waterloo. Questo Napoleone mantiene alcune caratteristiche emotive e psicologiche del sig. Rossi (chiaramente il Napoleone-Rossi è diverso dal Napoleone-Bianchi) e tuttavia a prendere le decisioni sulla mappa non è il solito Rossi. Siamo usciti da quel livello di realtà e il sig. Rossi non esiste più. Esiste Napoleone-Rossi, un soggetto reale, storico, impegnato coscientemente e attivamente con tutto se stesso a vincere a Waterloo. Che in questione sia la propria soggettività, il proprio esser soggetto, è provato dal fatto che nel gioco la cosa più grave, la peggiore, è proprio perdere. Rassegnarsi alla sconfitta nel gioco è sempre duro.  Tuttavia questo non è poi irrimediabile: basta giocare di nuovo. Nessuno perde sempre.

 

Dire Fare Giocare

Questa funzione, per così dire “terapeutica”, di protezione del soggetto dalla reificazione quotidiana, non è l’unica che il gioco svolge. Il gioco ha, infatti, una rilevanza sociale che travalica gli aspetti soggettivi. Certo il gioco è sovente un’attività privata e personale nondimeno il gioco ha una dimensione comunitaria ineliminabile: si gioca sempre con qualcuno. C’è sempre un altro con il quale discutere, litigare, confrontarsi, soprattutto c’è sempre un altro da battere. Perfino nei casi - alienanti, per certi versi, nei quali il gioco sembra dissolversi nel puro nulla – dei giochi per computer nei quali si è soli davanti al monitor, perfino in questi casi si stabilisce un rapporto con qualcuno, non fosse altro che i progettisti del gioco. Del resto che anche i giochi per computer abbiano una dimensione comunicativa è dimostrato dal moltiplicarsi, su internet, di gruppi di discussione, newsgroup, che hanno per oggetto i videogiochi.
Questa dimensione comunitaria è costituita da un linguaggio. Mediante le azioni del gioco, il “fare ludico”, il gioco “parla”. Occorre ora chiarire: “come” parli e “cosa” dice.

 

Il “Ludema”

Se il gioco è un linguaggio quali sono le modalità espressive? Qual è l’unità minima significativa? In via provvisoria, ritagliando il termine dalla linguistica, chiameremo “ludema” l’unità minima significativa. Questo è costituito da un singolo atto di gioco. Calare una carta a Briscola, muovere la pedina di un boargame, tirare i dadi, il numero 21 alla roulette, sono ludemi. In sé nessuno di questi ludemi è significativo. Se tiro i dadi sul tavolo della roulette vengo probabilmente cacciato, se muovo una pedina giocando a Briscola sono guardato come uno sciocco. Ciascun ludema acquista senso e valore solo all’interno di un gioco particolare (un regolamento: logica di I livello). Il ludema è il singolo atto di gioco, puntuale, irripetibile, che esiste, come atto dotato di senso, solo all’interno di un quadro più ampio. E’ il quadro d’insieme che dona significato a tutti gli atti compiuti all’interno del gioco. Ludema e regolamento esistono insieme e l’uno rinvia all’altro.

 

Il denaro inutile

Consideriamo ancora un gioco nel quale la posta sia costituita da denaro, ad esempio quando sono in campo delle scommesse. In questo caso potrebbe apparire che la serietà con la quale si segue e si partecipa al gioco è determinata dal denaro e che dunque ci sia una valenza utilitaristica che fa la differenza rispetto a giochi svolti per puro divertimento, senza denaro. Quello che occorre chiederci, in questo caso, è se il denaro sia la causa, l’effetto o, ancora,  semplicemente, l’indice dell’interesse che il gioco riscuote. Elementari calcoli statistici - ammesso che non siano già sufficienti le semplici considerazioni impressionistiche – provano che nei giochi nei quali il denaro è in palio l’utile è scoraggiato. E’ scoraggiato da meccanismi di gioco (ad es.: la roulette) che squilibrano il rapporto tra possibilità di vincere e di perdere; è scoraggiato moralmente per quei giocatori che giocano al di sopra delle loro possibilità trascinati dalla passione; è scoraggiato dalla considerazione che energie spese al gioco renderebbero sicuramente di più qualora fossero utilizzate per attività lavorative; è scoraggiato perché, statisticamente, anche nel caso di semplici scommesse alla pari, le possibilità tendono ad eguagliarsi sul lungo termine per cui vincite e perdite alla lunga si equivalgono. Possiamo allora dire che, in tutti i sensi, l’impegno in denaro è al di là delle possibilità del giocatore. Questo non vuol dire, naturalmente, che il denaro sia irrilevante: vuol dire solo che chi gioca lo fa per divertirsi, al di là dell’utile, e che il denaro da senso al gioco ma non è il fine del gioco. E’ un valore morale quello che è in questione e se il gioco è un affare, è un affare d’onore.
In senso letterale il gioco non fa accadere nulla. Non cambia lo status di nessuno. Tutto quello che si può fare è gioire e assaporare oppure soffrire e sopportare; uscirne, in ogni caso, con onore.

 

Giocare per dire

La funzione del gioco non è arricchire chi gioca (anche se, ovviamente, questo può accadere); la sua funzione non è placare tensioni sociali né sublimarle (anche se certo fa anche questo) ma di mostrarle. Esprime (come l’arte), agitazione, serenità, violenza, inquietudine, brio, grandezza, disperazione, esuberanza, stoltezza, e così via tutta a gamma dei sentimenti che una cultura consente ai suoi membri. Il problema non sono gli effetti materiali, minimi, ma la realizzazione immaginativa di dimensioni dell’esperienza del tutto nascoste normalmente.
Il gioco lega una certa forma (che chiaramente varia da gioco a gioco: il lancio dei dadi, la puntata alla roulette, le pedine sulla mappa…); un certo contenuto metaforico (Mario Rossi è Napoleone a Waterloo, Antonìda Vasìlevna Taràseiceva che gioca il denaro delle elemosine non è più la protettrice dei poveri …) e un certo contesto sociale. Abbiamo visto come il gioco comporti sempre una dimensione sociale. Questa può essere privata (due amici giocano a dama) o altamente strutturata (due società di calcio si affrontano in un campionato, di domenica, circondate da tifosi paganti, in uno stadio comunale …): in ogni caso sullo sfondo si staglia sempre un contesto sociale, con tanto di status, ruoli, legami economici, che il gioco rivela ma che contemporaneamente nasconde sullo sfondo. Il gioco è allora una sorta di commento metasociale al sistema di status, al sistema di valori, al sistema di desideri e prospettive, che formano la trama di un determinato contesto sociale. Di volta in volta un universo emotivo viene prodotto e indirizzato dal gioco. Queste emozioni vengono usate per scopi conoscitivi: si apprendono non solo i sentimenti (propri e altrui) di fronte alle vicende del gioco (vittorie, sconfitte, collaborazioni…) ma l’ethos della cultura di cui si è parte. Si vengono a rappresentare, a vivere, e quindi a conoscere, i valori espressi esternamente da un testo particolare e collettivo il gioco, che diventa così una sorta di rappresentazione teatrale sui generis. Un testo che, mediante le azioni dei giocatori, ci dice non ciò che accade ma ciò che accadrebbe se la vita (come l’arte) fosse plasmata liberamente da stili di sentimento.

 

 

1 - La rappresentazione grafica del dispiegamento di un battaglione di fanteria nell’epoca napoleonica. I segni sono tutti correlati: mutando uno solo degli elementi l’intero insieme acquista un valore completamente diverso. Questo indica che una logica preordina la posizione di ciascun segno

 

2 – Un gioco di epoca coloniale: la battaglia del forte Macallè. Nel chiuso universo della mappa i contendenti giocano per controllare il forte. Le varie caselle sono collegate tra loro secondo fasci di possibilità – fasci di relazioni possibili - definiti dal regolamento (logica di primo livello).  La ripetitività dei confronti è elusa non tanto dal numero di questi fasci di possibilità quanto dalla competizione con l’avversario (logica di secondo livello).

 

3 –La rappresentazione grafica delle possibili azioni di un comandante di armata nell’età napoleonica secondo i vari momenti della giornata. La traccia esterna sulla quale si muove un segnalino divide la giornata – spazializzando il tempo – in frazioni di ora. Viene dunque descritto l’universo chiuso del comandante e le relative possibilità ed esigenze secondo i vari momenti della giornata. A tutti gli effetti quello raffigurato è un cosmogramma.

 

4 – Un altro cosmogramma: un Mandala indiano. Il meditante lancia un sasso sul Mandala, che raffigura una delle complesse cosmogonie indiane, e, a seconda della regione del cosmo ove il sasso è casualmente caduto, indirizza la sua meditazione. Inutile sottolineare quanto il lancio casuale del sasso sia vicino al lancio di un dado.

 

5 – Il gioco dell’Oca, diffusissimo universalmente, altro non è se non un cosmogramma che descrive un intero universo: qui l’universo delle Missioni, universo geografico e spirituale insieme, nel quale ci si orizzonta mediante un dado. Non siamo così distanti quanto sembrerebbe dal Mandala indiano: è chiaro che anche qui ogni casella – regione del cosmo possiede proprie valenze etiche, pedagogiche, spirituali. Almeno in questo caso l’intero gioco non è privo da valenze educative.

 

6- 7-  8- Il cavallo a dondolo, uno dei giochi infantili per eccellenza, può trasformarsi nel suo esatto contrario: l’assenza totale di libertà e spontaneità. Nelle prime due foto, di anonimi della fine dell’800, due bambini in posa. Sono rigidi, inanimati. Lungi dal giocare stanno sottoponendosi alle dure regole sociali della classe di appartenenza dei genitori i quali, per esigenze di rango, debbono mostrare che i loro figli hanno (nel senso di possedere) tempo e giochi per giocare. Anziché esser soggetti del loro mondo tramite il gioco i bambini sono oggetti  in quello degli adulti. La terza foto, di anonimo degli anni ’30, mostra il rovescio della medaglia circa le capacità ludiche del cavalluccio: i giochi erotici per adulti. Non ci si lasci ingannare dalle apparenze: la prostituta che “gioca” a fare la cavalcatura non è affatto più libera dei bambini delle prime due immagini. Anche lei è prigioniera delle fantasie, delle rappresentazioni di altri. Siamo agli antipodi della spontaneità e serietà del gioco.


 

9- 10- 11- 12- Strumento apparentemente infantile l’altalena è invece stato a lungo un serissimo strumento ludico per adulti. Utilizzata per esprimere i ruoli sociali nella protezione della situazione giocosa, poteva definire il chiuso universo della casa (il microcosmo della miniatura indiana) o i caratteri peculiari, e dunque la diversità, della donna (acquarello inglese del XVIII sec.). Naturalmente, come nel caso del cavalluccio, l’altalena ha un posto anche nel gioco della seduzione (litografia francese primo ‘800) e più esplicitamente erotico (J. Collins e O. Thobias in una scena di The Stud, 1978).

 

13- Litografia inglese del primo ‘800: un passatempo antichissimo (esistono raffigurazioni vascolari greche). Il gioco crea una dimensione protetta, destorificata, nella quale sono possibili comportamenti ed espressioni liberatorie non altrimenti concesse. La moralità del periodo non avrebbe consentito ad un gentleman di essere così vicino ad una lady se non per gioco.


 

14- 15- La dimensione protetta, chiusa, del bagno consentiva (almeno prima dell’igienica privatizzazione del luogo realizzata nella nostra epoca) l’aprirsi a comportamenti socialmente giocosi: non il caos orgiastico ma l’assunzione di ruoli diversi dai “normali, da quelli non ludici, ma comunque ordinati e regolati da impliciti codici: una sorta di regolamento. Qui un dipinto medievale e un’incisione del XV sec.

 

16- Un altro noto gioco di società in una foto di anonimo degli anni ‘40. Anche qui i rapporti quotidiani sono invertiti: la “mosca” riconosce la preda, una volta che l’ha catturata, toccandola sul corpo con le mani, in violazione delle usuali regole della correttezza. Un nuovo codice è in vigore ed è come se i rapporti fossero su un piano diverso da quello normale. Ciò spiega le frequenti interazioni tra gioco ed erotismo.


 

 

17- Se la benda della “moscacieca” è per non guardare, la maschera è per non farsi vedere. Non necessariamente per non farsi riconoscere: lo scopo è quello di assumere, per la durata del gioco, una nuova identità. La signora mascherata che si prepara ad un gioco di scambio di coppie non è, sotto questo aspetto, lontana dal Napoleone-Rossi che simula la battaglia di Waterloo (foto di anonimo, anni ’80).

 

18- 19- I giochi di carte possono o meno essere accompagnati dalla dimensione dell’azzardo. In genere il denaro accresce la dimensione di “serietà” del gioco. Il codice è assolutamente rigido e il regolamento coincide, quasi, con lo schema logico di secondo livello: barare a “moscacieca” per abbrancare la propria bella è, in fondo, parte del gioco; barare a carte è una questione d’onore. Dipinto di L. Deleyede, 1510 ca.; acquarello di Moreau le Jaune).

 

20- 21 -Condotto alle estreme conseguenze l’azzardo diviene fine a se stesso: è il caso della slot machine. Il denaro è scopo e mezzo in un circolo vizioso. Anche qui abbiamo comunque un abbozzo di dialogo, sia pure ridotto e a senso unico, tra utente e progettista della macchina. Il gioco è comunque degradato e il soggetto che gioca è puramente passivo. L’alienazione contemporanea distrugge il gioco. Ben diverso l’antico gioco della morra (foto di G. Colombo, fotografo ambulante, primi del ‘900) nel quale, coltello alla mano, era l’onore ad essere in questione più del denaro. La morra era un gioco esclusivamente popolare che utilizzava a scopo ludico il principale strumento di produzione: la mano.

 

22- 23- 24- 25- Giochi ricchi , di origine aristocratica, i birilli e il biliardo hanno in comune il movimento e gli urti di corpi su spazi ristretti. Il biliardo è coevo, e non è un caso, alle ricerche che hanno condotto all’elaborazione della meccanica classica.  Si tratta di giochi che mettono in atto una serie di codici comunicativi. Non solo ogni gesto è significativo ma la stessa comunicazione verbale – sotto forma di consigli, commenti...- è parte essenziale del gioco (qui una stampa del ’70 e un acquarello di Th. Rolandwson). L’utilizzo dei medesimi strumenti, privo però dell’aspetto comunicativo, produce distorsioni evidenti nonostante permanga un intento ludico. Nonostante l’impegno delle modelle, se paragoniamo alle ricche e vive immagini precedenti le due fotografie (di anonimo fine ‘800), queste emergono tristi e povere: sono insignificanti: non dicono nulla e rivelano il loro aspetto di forzatura.

 

26- 27 -Ancora giochi popolari di origine antichissima: il gioco delle pentole (tavola francese del ‘700) e l’albero della Cuccagna (tavola popolare tedesca del ‘600). Si gioca qui con l’aleatorietà e arbitrarietà della Fortuna, da una parte, con l’impossibilità di conseguire beni mondani mediante la quotidiana fatica, dall’altra. In modo comico vengono definiti aspetti importanti della vita e, in qualche modo, si apprende a conviverci. E’ però un gioco: a differenza della vita reale le cose possono anche finire bene. L’aspetto materiale della vittoria è in fondo irrilevante di fronte alle valenze morali.

 

28-29-30- Nonostante in apparenza si tratti sempre di combattimenti di animali, e nonostante sia sempre in gioco la valenza del gioco d’azzardo, le tre immagini (foto di combattimento di cani in America, foto combattimento di pernici in Afghanistan; dipinto fiammingo sui combattimenti di galli in Inghilterra) raffigurano tre diversi mondi ludici. Il combattimento di pernici è un fatto sociale totale in Afghanistan e coinvolgeva, per vari livelli tutta la popolazione. Le scommesse sono (erano?) vincolate da rigidi codici e servivano soprattutto a sottolineare gli status sociali. Gli spostamenti di denaro sono irrilevanti e comunque secondari. Anche le lotte tra galli inglesi fino al ‘700 erano un fatto pubblico che coinvolgeva grandi strati (almeno maschili) della società. Non fosse che per il fatto che i combattimenti erano, secondo complicate regole, a squadre di galli. A differenza dell’Afghanistan i rapporti di parentela non sono in gioco e la dimensione economica è più ampia: anche qui, però, l’aspetto spettacolare corale è rilevantissimo. I combattimenti di cani odierni sono invece espressione, privatissima e particolarissima, solo di violenza. Ciò che conta è solo l’esito della scommessa. Una violenza gratuita che non è neanche comunicazione di sentimenti (odio, desiderio di ricchezza, ambizione...)  ma che dice solo se stessa: cieca, ottusa violenza. E’ l’unico dei tre casi nel quale non si dica nulla.

 

31-32-Luogo triste e malinconico, a fatica il Luna Park moderno riscatta con le sue luci e la sua confusione l’assenza di comunicazione tra i partecipanti. L’industria del divertimento sprofonda nella spersonalizzazione. Il gioco è un’altra cosa.

 

 

1998 Marco Menicocci

(Tutti i diritti sono riservati all'autore. L'articolo è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista telematica "Pagine del Tempo", n. 1, 1999,  http://www.FortePiano.it/PaginedelTempo/Materiali/pdtmat004.htm, ISSN 1720-3732. Questo documento e le immagini ad esso collegate vengono rilasciati per puro uso personale in una singola copia. Qualunque utilizzo inerente alla divulgazione e/o alla utilizzazione al di fuori di questo sito dovrà essere concordato con l’Autore preventivamente e per iscritto. In ogni controversia il Foro competente sarà quello competente al domicilio dell'Autore.)